FEDERICO RAMPINI                                              (22 maggio 2005)

 

Ma più che la Grande muraglia è il business la vera attrazione

Dopo il sorpasso nell'industria tessile, quello sul turismo. Con una particolarità: i visitatori sono manager e imprenditori.

PECHINO - Sapevamo d'aver perso da tempo la gara nell'elettronica e nell'informatica, sappiamo d'esser sotto assedio nel tessile-abbigliamento, ma ora la Cina ci surclassa anche dove non ce l'aspettavamo: come mèta del turismo internazionale. Con 42 milioni di turisti stranieri nel 2004 ci sottrae il 4° posto nella classifica mondiale, relegando l'Italia alla quinta posizione.
L'exploit è clamoroso per la sua rapidità, ma è anche logico. I due sorpassi cinesi, prima nell'industria e ora anche nel turismo, in realtà sono strettamente legati fra di loro. Innanzitutto perché fra quei 42 milioni di visitatori c'è una quota importante di imprenditori e manager, viaggiatori attirati dagli affari: il boom dell'economia intasa le cabine di prima classe e di business class sui voli intercontinentali verso Pechino, Shanghai e Canton, fa il tutto esaurito negli hotel a cinque stelle che le catene Hyatt Marriott Hilton e Sheraton stanno moltiplicando in tutte le città cinesi. E poi l'ascesa del gigante asiatico ha una ricaduta sulla sua immagine: la Cina è di moda.
L'America oltre a dominare il mondo con la sua economia e il suo esercito, lo ha anche sedotto con i suoi miti, le sue leggende e la sua produzione di cultura di massa, e il viaggio negli Stati Uniti è diventato un rito obbligatorio nel bagaglio culturale di ogni cittadino del mondo. Ora la Cina sta avviandosi verso una traiettoria simile. È già una superpotenza economica, si prepara a diventare il rivale politico-strategico degli Stati Uniti. Al tempo stesso i film di Wang Xiaoshuai vengono applauditi a Cannes, l'antiquariato orientale polverizza i record dei prezzi alle aste di Christie's, la pop-art di Pechino va a ruba tra i collezionisti privati di New York, lo stilista Shanghai Tan ha successo a Londra e a Parigi, gli editori americani e francesi traducono decine di giovani romanzieri cinesi. Non essere mai stati a passeggio nella Città proibita, sulla Grande muraglia o sul lungofiume del Bund a Shanghai, diventa una lacuna da provinciali. L'immagine vincente della Cina moderna si fonde con il fascino esotico della sua civiltà millenaria, tutt'e due insieme si vendono bene anche sul mercato delle vacanze.
Nella concorrenza fra le grandi mete del turismo internazionale, questo paese sfodera gli stessi ingredienti che hanno fatto la fortuna del made in China nei computer e nel tessile, nei telefonini e nelle scarpe: prezzo più qualità. Sul prezzo non c'è da stupirsi: nonostante il boom perfino a Pechino e Shanghai il costo del lavoro rimane molto più basso che a Roma e Milano, il divario si allarga ancora di più se il confronto è con le località turistiche più esotiche e remote (Guilin, lo Yunnan, Shangri-La o il deserto del Gobi), quindi per le tariffe di alberghi e ristoranti la Cina è una destinazione a buon mercato. Più sorprendente è il rapido progresso avvenuto nella qualità.
Il servizio negli alberghi o sugli aerei, per efficienza e cortesia, ha fatto dei balzi enormi rispetto ai tempi non lontanissimi in cui il personale era tutto statale, a stipendio fisso, impregnato di ideologia egualitaria, svogliato e improduttivo. Al posto del libretto rosso di Mao Zedong ora c'è il principio "il cliente è re", e le commesse dei grandi magazzini sembrano pagate in proporzione ai sorrisi che vi regalano.
Si aggiunge il fatto che Giorgio Armani ha inaugurato a Shanghai una showroom con ristoranti e galleria d'arte che è già un luogo di pellegrinaggio, Prada ha appena annunciato che potrebbe spostare qui una parte della sua produzione: per i turisti giapponesi lo stesso made in Italy sta offrendo una ragione in più per fare sosta a Shanghai o a Hong Kong. A sole tre ore di volo da Tokyo, anziché dodici, i nostri stilisti stanno replicando in Cina le vetrine di Via Montenapoleone e Via Condotti.
La demografia e l'economia puntano nella stessa direzione: per il turismo il pubblico del futuro è in Asia. Non a caso Airbus guardando a questo continente si è convinta che c'è un immenso mercato per piazzare i nuovi A380, i futuri transatlantici del cielo a due piani e 550 posti. La Cina in mandarino si chiama "il paese di mezzo": è nel centro della massima concentrazione di nuovi consumatori, fra l'India e il Giappone, l'Indonesia e il Sudest asiatico.
All'Italia non resta che trarne le conseguenze. Se il mondo va in Cina, i cinesi scoprono il resto del mondo. La World Tourism Organization ha calcolato che già l'anno scorso i turisti cinesi all'estero (21 milioni) hanno superato i giapponesi, e da questo momento non faranno che crescere fino alla soglia di 100 milioni di visitatori all'anno. La salvezza dell'industria turistica italiana potrebbero essere loro. Ma quanti cinesi finiranno in Francia o in Spagna, anziché in Italia? I nostri ritardi sono noti e sono handicap seri.
Abbiamo pochi voli diretti, una rete alberghiera modesta, prezzi alti, personale non addestrato: a Parigi le Galeries Lafayette hanno cominciato tre anni fa ad assumere commesse cinesi.

pubblicato in la Repubblica.it alla pagina http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/cronaca/
turrsmcinse/rampturism/rampturism.html
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